Il ritratto

La continuità della gestione Viola è nelle mani della signora Flora

Una eredità molto pesante e difficile per un personaggio che ha sempre evitato le «luci della ribalta».
I ricordi, l'amarezza,
i progetti e i sogni per il futuro.

“L' ho fatto per mio marito e per i miei figli”. Flora Viola sembra non sentirsi a suo agio nei panni di presidente. Ne avrebbe volentieri fatto a meno per le ragioni che tutti sanno e sulle quali non è il caso di tornare. Per anni, tanti anni, ha vissuto accanto al presidente, ma non ha mai «studiato» da presidente. La scomparsa del marito non ha aperto solo un vuoto incolmabile visto che l'ha costretta a finire in prima linea, su quella passerella che s'era impegnata ad evitare per tanto tempo. Ha accettato il ruolo per onorare la memoria del suo Dino, ma se c'è una domanda che la irrita è proprio quella riferita all'eventuale giudizio che il consorte avrebbe potuto dare vedendola al timone della società.
Non ha cambiato di molto le proprie abitudini, eppure considera stravolto il tran-tran quotidiano, fatto di lunghe attese durante la settimana e di continui viaggi durante i week-end, ogni quindici giorni. Ora c'è l'impegno di Trigoria. Limita al massimo le apparizione al Centro Sportivo Fulvio Bernardini, ma talvolta si rende conto che essere vicino alla squadra significa sacrificarsi, far violenza a se stessi. Dopo la scomparsa del marito ha reagito come i figli le avevano chiesto: subito a Genova, poi a Firenze, quindi l'esordio all'Olimpico contro il Genoa. Ha cercato di restare nell'ombra pur avendo puntati addosso tutti i riflettori. Flora Macera in Viola è la prima donna presidente di un club di serie A. Inutile dire che avrebbe rinunciato volentieri a questo record. “Accanto a Dino ho imparato a conoscere l'ambiente del calcio - ha dichiarato nei giorni successivi all'investitura - però non ho imparato a capire cosa lo condiziona. Certo, i risultati rappresentano tutto, eppure non capisco. Se avessi ereditato un'azienda che nulla aveva a che vedere con il calcio sarebbe stato tutto più semplice, molto più semplice”. Il calcio, appunto. L'ha amato e odiato, sempre in silenzio. Da qualche mese si andava sussurrando che fosse proprio lei a consigliare il marito a prendere in considerazione la cessione della maggioranza del pacchetto azionario. «Ma non mi sono mai illusa - ha spiegato - perché vedevo Dino più impegnato che mai. Non faceva che parlare della sua Roma, del futuro, dei progetti e dei programmi. Altro che trattative di vendita... ». Un'eredità pesante. In tutti i sensi, dal momento che la squadra, lo staff tecnico e soprattutto i tifosi l'hanno eletta come punto di riferimento, come unico interlocutore in grado di poter gestire il presente e il futuro. L'unica abilitata ad avere voce in capitolo. Perfino negli striscioni degli Ultrà è diventata prim'attrice. “Ne ho letti di veramente splendidi - ha commentato - Sono stata contenta perché ho capito che si era centrato il primo traguardo: dare continuità alla gestione della società. Forse era l'ostacolo più difficile da superare”. Ma non è stato tutto facile, anzi. Il conforto di giocatori, tecnici e tifosi è stato sì importante, ma non determinante dal momento che intorno alla famiglia sono tornate a farsi minacciose quelle “iene” che Dino Viola era sempre riuscito a tener lontane, o a domare senza troppi affanni.
Donna Flora si è ritrovata sola con i ricordi quando si è trattato di tutelare il patrimonio ereditato. Di colpo, come d'incanto, sono ricomparsi tutti, professando un'amicizia che lo scomparso presidente aveva sempre negato, rifiutato, allontanato. Donna Flora sapeva custodire i segreti del marito, quei segreti che l'hanno aiutata più di tutto e di tutti a proseguire sulla strada tracciata dal consorte in quasi dodici anni di presidenza. I figli l'hanno sempre giudicata una mamma severissima. “Può darsi abbiano ragione - ha sempre replicato - Di sicuro però mio marito è stato ancor più rigido. Comunque sia, si è trattato di un'educazione che ha dato i suoi frutti visto che nessuno dei nostri tre figli ci ha mai creato problemi. Anche questo ha contribuito a far realizzare il sogno di Dino circa l'acquisizione della Roma”. Ha tanti ricordi, tra i più cari c'è quello tutto giallorosso. Racconta: “Durante la presidenza di Alvaro Marchini, Dino ricopriva la carica di vicepresidente. Se non ricordo male eravamo a metà degli anni Sessanta. Causa un'ulcera, mio marito fu ricoverato e operato d'urgenza: una paura incredibile. Il giorno in cui lasciò l'ospedale per tornare a casa mi disse: «mi sarebbe proprio dispiaciuto morire». Pensai che facesse riferimento alla famiglia. Nient'affatto. «Non ho ancora fatto nulla per la mia Roma» aggiunse con tono categorico. Insomma, era diventato il suo chiodo fisso”. Tanti ricordi. Difficile spiegarli tutti. Ricordi che spesso prescindono dai risultati, dalle giornate felici o di amarezza perché legati ad una vittoria o ad una sconfitta. “Per anni - confessa - siamo andati avanti a minestrina o pastasciutta. Se non si vinceva, a tavola niente spaghetti, che erano invece di rigore in caso di successo”. Tanti ricordi, soprattutto da non rivelare perché patrimonio privato. Il dolore è qualcosa che non si può spiegare, soltanto se lo si prova si riesce a capire. La Roma è diventata quasi un rifugio, un pretesto per riempire giornate altrimenti vuote, inutili e tristi. La Roma che è sinonimo di continuità, quasi il presidente avesse lasciato un testamento minuzioso, dettagliato, impossibile da non seguire e non rispettare. “Mi sono sempre considerata una moglie felice e una mamma fortunata” ha ripetuto la signora Flora quando si è trattato di affrontare il primo fuoco delle interviste. E proprio nel ruolo di moglie e di mamma si è sempre ritrovata a suo agio. E sarà sempre così, a dispetto della nomina a presidente, del record di primadonna del calcio professionistico, di punto di riferimento per tutte le componenti della Roma, una Associazione Sportiva che di diritto si era seduta in casa dal maggio 1979. Il pane quotidiano.

Tratto da La Roma febbraio 1991

 

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